Kami o del sacro che è dovunque
Dal modo in cui i kami sono venerati in Giappone, si apprende la possibilità di una sacralità non invasiva, si impara ad avvertire lo spirito insito in ogni cosa.
Sono interruttori per lo sguardo ed è rassicurante l’idea che tutto sia abitato dal divino, che nello sconosciuto che incrociamo per la strada, nello striminzito alberello sotto casa, nel ciottolo che facciamo rimbalzare sulla superficie di uno stagno, vi sia qualcosa di intangibile e inviolabile, qualcosa di sacro
Simone Weil scriveva in “La persona e il sacro” che «Colui agli occhi del quale importa soltanto lo sviluppo della persona ha perduto totalmente il senso stesso del sacro», come a ribadire che la persona va rispettata a prescindere da tutto. Che sia gradevole o sgradevole alla vista, che la sua intelligenza sia brillante oppure opaca, essa va considerata inviolabile.
Ed ecco che coniugando il pensiero giapponese alla filosofia di una delle menti più illuminate della cultura europea del Novecento, si intuisce come il riguardo per il prossimo e per il mondo sensibile deve provenire dal fatto che dimori in entrambi qualcosa che possiamo definire «sacro», qualcosa che li pone nel nostro orizzonte e li rende a priori oggetto del nostro rispetto.
Nella pratica questa consapevolezza si traduce nel trattare con cura l’ambiente in cui si vive, la casa, gli affetti, la propria famiglia, l’ambiente lavorativo, gli sconosciuti in cui ci imbattiamo, gli oggetti che usiamo, i luoghi in cui transitiamo.
> Tratto da “WA La via giapponese all’armonia”
di Laura Imai Messina – Ed. Vallardi
I Kami, sono gli dèi, gli otto milioni di divinità del pantheon giapponese. L’invito che ci facciamo, è quello di riconoscere che tutto intorno a noi è Sacro.